Stalking: non tutti gli atti sono persecutori.

Cassazione Penale, Sez. V, n. 34512/20.

La Sentenza del Supremo Consesso che si vuole sottoporre all’attenzione del Lettore è la n. 34512-20, avente ad oggetto la fattispecie di reato di cui all’articolo 612 bis c.p.

Ebbene, quanto agli atti di c.d. pirateria informatica, la Corte affermato il seguente principio di diritto: “In tema di stalkingla pubblicazione di post meramente canzonatori ed irridenti su una pagina Facebook accessibile a chiunque non integra la condotta degli atti persecutori di cui all’art. 612 bis cod. pen., mancando il requisito della invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi privati(mediante SMS, Whatsapp, e telefonate), e, se rientra nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica, è legittima”. 

Nel caso in esame è stata accertata la pubblicazione di post canzonatori su una pagina Facebook. Tuttavia, tali contenuti non erano indirizzati direttamente alle parti civili, come avviene con i messaggi privati, ma venivano condivisi su una pagina pubblica, accessibile a tutti gli utenti del social network. La loro lettura, quindi, dipendeva dalla libera scelta degli utenti stessi. Di conseguenza, nella situazione descritta, manca l’invasività inevitabile che caratterizza l’invio di comunicazioni private, come SMS, messaggi su WhatsApp o telefonate, elementi distintivi degli atti persecutori rilevanti ai sensi dell’art. 612 bis del codice penale.

Il principio di diritto in esame, a mio sommesso parere, assume particolare rilevanza per chi si trova ad affrontare nelle aule giudiziarie la fattispecie di reato di stalking.

Riflettendo attentamente, il riferimento al concetto di “inevitabile invasività” dell’atto persecutorio permette di escludere tutte quelle condotte che, pur essendo illecite di per sé, non configurano il reato previsto dall’articolo 612 bis del codice penale.

Un esempio tra i tanti è rappresentato dall’ipotesi in cui l’autore commette una serie di atti illeciti attraverso scritte diffamatorie contro la persona offesa, disseminandole in diversi luoghi, ma evitando la residenza o il domicilio di quest’ultima. In tale circostanza, infatti, risulterebbe assente quella invasività inevitabile precedentemente menzionata, strettamente legata all’invio di messaggi che penetrano nella sfera privata e personale della vittima.


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